di Francesca Qualia

Era trascorso un anno oramai. Un anno da quella sera in cui Lei se ne andò, lasciandogli un vuoto incolmabile in petto. Lui la ricordava ancora. Ricordava la sua figura esile, al limite del fragile, la sua pelle di perla ed i capelli neri perennemente raccolti in una coda di cavallo. Ricordava la sua tristezza profonda, quella tristezza che Lei cercava sempre di nascondere dietro ai sorrisi. Ma Lei non era felice e Lui l’aveva capito tanto tempo fa. Lo capiva dai suoi pianti, dalle lacrime che spesso cadevano dal suo bel viso e che Lei, silenziosamente, cercava di asciugare. Eppure, nonostante percepisse questa sua tristezza, non aveva fatto niente. Poi quella sera, dopo una giornata trascorsa al mare. Era stata una giornata segnata dalla nebbia, tipicamente autunnale. “Sotto la nebbia c’è il sole” aveva detto Lui. No. Il sole non c’era.  Un bacio lieve dopo una giornata al mare. Una giornata autunnale avvolta dalla nebbia.  Lui l’aveva riaccompagnata a casa ,un bacio lieve sulle labbra, come sempre  e “Ci vediamo domani”.  No. L’alba non era sorta, per Lei.
A distanza di un anno a Lui faceva ancora male: nonostante gli amici, il lavoro, l’affetto dei cari, nulla era riuscito a cancellare quel dolore immenso ed i sensi di colpa. Ogni cosa che faceva gli ricordava Lei e la sua figura tanto fragile ma, forse, più forte di quanto credesse. Aveva avuto la forza di fuggire alla realtà.
Era il 31 ottobre. Proprio come un anno fa. Anche quella sera era il 31 ottobre: la notte delle Streghe, dei fantasmi. “Cretinate “. Lui non ci aveva mai creduto. Era una sera come le altre, solo più triste perché segnava un anniversario. Andò in cucina: l’alcool avrebbe fatto il suo dovere e se non ci fosse riuscito ce ne sarebbe stato dell’altro. E poi un altro. E un altro ancora. Con la mente annebbiata dai pensieri tornò in salotto e appoggiò il bicchiere sul tavolino. Quel brutto tavolino che oramai usava solo più come poggia piedi. Ci pensò, per un attimo poi no, scosse la testa. Lui non credeva a quelle cose. Rise a voce alta. Una risata nervosa, tesa. Eppure la sua attenzione continuava ad essere incentrata su quel bicchiere e su quella superficie liscia e nera.  Come un automa andò nella stanzetta che utilizzava come studio  e si mise a cercare. Sapeva di averli, da qualche parte, e li trovò senza troppo sforzo. Due gessetti bianchi, che aveva conservato come ricordo del periodo in cui faceva  supplenze nelle scuole. Archiviata quell’esperienza li aveva gettati in fondo al cassetto della scrivania e lì erano rimasti. Non gli erano mai più tornati in mente, prima di quella sera in cui tutto era così nitido. Si sentiva come il viandante che, dopo aver percorso km e km avvolto dalla nebbia (quella nebbia), improvvisamente vede il sole. Sotto la nebbia c’è il sole. Tornò in salotto e, come un automa, si mise a tracciare segni sul tavolino. Bianco su nero. L’alfabeto fu pronto in un attimo. Appoggiò le dita sul bicchiere, oramai vuoto, e La invocò. Si concentrò, le dita sempre appoggiate sul bicchierino, La chiamò. Non successe nulla. Il bicchiere rimase immobile nella posizione iniziale. Erano tutte stronzate, lo aveva sempre saputo. Si buttò sul divano, stremato. Fuori udiva le urla dei ragazzini riversi nelle strada per Halloween. Dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto? Incessantemente. Dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto, dolcetto o scherzetto. Stronzate: i morti sono morti, non si risvegliano. Ne aveva  le prove. Si alzò: doveva solo dormirci sopra.
Lei lo vide e gli corse incontro. Quanto tempo. Quanto tempo era passato. Un anno, solo un anno ma era sembrato un’eternità. Era felice di vederlo. Si fermarono uno davanti all’altra. Si guardarono, poi si baciarono. L’ultimo bacio era stato tanto tempo fa e Lei quasi non se lo ricordava più. Stettero stretti per un po’: non erano mai stati così vicini. “Ci vediamo domani, ora devo tornare
No. L’alba non ci fu mai più, neanche per lui. Solo un cadavere penzolante dalla trave della camera da letto.