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Di Gianni Prosperi ( Lemm)

 

La prima cosa che notò fu il buio. Il capitano Lemm vantava oramai oltre trent'anni di navigazione interstellare. Aveva attraversato la galassia in lungo ed in largo e, in nome di qualche spedizione scientifica, ne era addirittura uscito oltre i confini, arrivando fin dove anche le stelle più vicine smettono di essere punti di luce, per apparire, indistinguibili dalle altre, solo come tenue nubi debolmente luminose. Però, anche al di fuori della galassia, lontano da essa migliaia di anni luce, non aveva mai visto il buio così totale ed assoluto che ora lo schermo gigante che sovrastava il ponte di comando gli mostrava. Sapeva che non si trattava di un malfunzionamento degli strumenti. Era osservando lo spazio dall'oblò della sua cabina che il capitano si era accorto che le stelle erano scomparse. L'orologio di bordo segnava le ore notturne. A parte pochi uomini e donne di turno, l'intero equipaggio dormiva o si era comunque ritirato nelle loro stanze. Il capitano Lemm era in cabina e stava leggendo un libro di un autore inglese vissuto a cavallo tra i lontanissimi secoli XX e XXI. Amava i libri di Neil Gaiman e, più in generale, amava leggere stando seduto vicino all'oblò

'' «Il buio» spiegò con calma la donna vestita di pelle. «tutti gli incubi che emergono al calare del sole, fin dai tempi delle caverne, quando ci si rannicchiava gli uni accanto agli altri alla ricerca di calore e sicurezza. Questo è il momento di aver paura dell'oscurità.» ''

Il capitano dopo aver finito di leggere, aveva alzato la testa china sul libro e guardato fuori dell'oblò. Le stelle, che fino a qualche minuto prima brillavano amiche in lontananza, non c'erano più. Sembrava che qualcuno avesse spento l'universo. Se era così, allora questo ''qualcuno'' aveva dimenticato di spegnere la Enkidu, con tutto l'equipaggio che essa conteneva. Il capitano sapeva che c'era una moltitudine di cause per cui le stelle potevano essere state coperte improvvisamente alla vista. Forse erano entrati in una regione di nubi interstellari  che assorbivano le radiazioni luminose, o forse una formazione molto vasta di queste si estendeva tra le stelle e la Enkidu. Il capitano, pur sorpreso della coincidenza con cui il buio si era manifestato dopo la lettura, non si era affatto preoccupato. Fu il personale di turno in plancia a richiederne d'urgenza la presenza sul ponte. Il nero assoluto dello schermo gigante ed il silenzio di tutti i rivelatori di bordo lo accolsero sul ponte insieme alle facce pensierose dei luogotenenti.

- Come sarebbe a dire che fuori non c'è più nulla? - chiese il capitano.
- Manca tutto, capitano...le stelle, i pianeti, persino il pulviscolo interstellare. Gli strumenti non rivelano più nulla. - il volto del tenente Q'Nnini mostrava senza veli tutta la sua incredulità di fronte ad un simile evento. - persino gli interferometri tacciono - concluse l'ufficiale scientifico.
- I rivelatori di neutrini? Le radiazioni elettromagnetiche?
- Nulla, signore. Ovunque siamo finiti, non captiamo neanche più la radiazione di fondo. -
- Qual'è il suo parere?
- Capitano, sono possibili solo due ipotesi: o davvero tutto ciò che esisteva fuori di questa nave ha cessato di esistere, ma sarà d'accordo con me, capitano, che ciò è assai improbabile oltre che assurdo, oppure qualcosa sta inibendo il funzionamento di ogni rivelatore a bordo della Enkidu. Io sceglierei la seconda ipotesi, capitano.
- Ed io sono dello stesso parere, tenente. Ma non abbandoniamo del tutto la prima ipotesi. Sono certo che l'universo esista ancora, ma magari non lo percepiamo più per motivi diversi da quello che abbiamo supposto finora. Ha già provveduto a fare un controllo sul funzionamento degli strumenti?
- Sì, capitano.
- E sono certo che tutto funziona a puntino.
- Sì, capitano.
- Va bene. Per il momento non allarmiamo la nave. Proseguiamo il viaggio mantenendo inalterata la velocità. Timoniere, qual'è la velocità attuale?
- Siamo...fermi capitano.
- Fermi?
- Senza punti di riferimento esterno - si affrettò a precisare il timoniere Karagialidis - non è possibile valutare alcun movimento, anzi, è più corretto dire che è impossibile muoversi.
- Ovvio, fuori non c'è un universo in cui muoversi. - precisò l'ufficiale scientifico.
Nel ponte di comando cadde il silenzio.

La situazione perdurava oramai da 36 ore, secondo il  tempo di bordo. L'equipaggio aveva ben assorbito la nuova condizione, non c'erano stati casi d'isteria.
Il capitano si era appena alzato dal posto di comando con l'intento di andare in cabina a riposarsi, quando avvertì una forza inerziale sbilanciarlo fin quasi a farlo cadere.
- È quello che penso? - chiese il capitano
- Se intende dire che l'universo fuori sia tornato, capitano, - disse l'ufficiale scientifico - la risposta è ''no''. Se invece vuole sapere se finalmente è percepibile qualcos'altro all'esterno di questa nave, allora la risposta è ''sì'' e, di conseguenza, ci stiamo muovendo.
- In che direzione?
- Dritti verso la nube luminosa che ora è visibile sullo schermo. - rispose il timoniere. Lo schermo gigante mostrava ora una insolita nube lattiginosa brillare in lontananza.
- Velocità?
- Curvatura 5, signore.
- Rallentare a curvatura 1.
- Eseguito, signore.
- Quando raggiungeremo quella...cosa, qualunque cosa essa sia?
- Tra 1ora e 47 minuti, signore.
- Q'Nnini, voglio sapere ogni cosa sia possibile sapere riguardo a quella nube: massa, temperatura, composizione, forza gravitazionale, ogni singolo dato possibile ed immaginabile. Rediga un rapporto. Appuntamento tra mezz'ora nella mia cabina.

- Clessidre, signore. - disse Q'Nnini rispondendo al capitano che gli aveva chiesto di cosa  fosse formata quella nube - Milioni, forse miliardi di clessidre tutte uguali e galleggianti in uno spazio debolmente luminoso.
- Spazio luminoso? Vuoi dire una nube, un gas ionizzato.
- No, capitano, non percepiamo la presenza di alcun gas o polveri. La provenienza di quella luce che inonda tutto lo spazio sembra nascere dallo spazio stesso.
- Ma quanto è estesa?
- Non riusciamo a misurarne la fine, capitano. Per quel che ne sappiamo potrebbe essere persino più estesa della Via Lattea.
- Non ha senso, Sinlec, amico mio...tutto questo non ha senso!
- Sono d'accordo con lei, capitano, ma...Eino, questo è quello che tutti i sensori della nave ci rivelano. - Raramente il tenente Sinlec Q'Nnini si rivolgeva al capitano chiamandolo per nome, ma avvertiva ora che il vecchio Einojuhani Lemm era troppo scosso dagli avvenimenti e necessitava dell'amico Sinlec molto più che dell'ufficiale scientifico.

La Enkidu arrestò la sua corsa a poco meno di un chilometro dalla sconfinata nube. L'immagine ingrandita che sovrastava il ponte mostrava inequivocabilmente una miriade di clessidre romane, tutte uguali nella forma ma diverse nelle dimensioni. Ce n'erano di piccolissime e di grandissime, e di tutte le dimensioni intermedie. Formavano un mare sterminato.
- Usciamo, Sinlec! - disse il capitano Lemm sul ponte di comando, rivelando per la prima volta davanti a terzi la sua stretta confidenza con l'ufficiale scientifico. Le parole del capitano  suonarono più come un cordiale invito piuttosto che come un ordine.

Uscirono dalla Enkidu con una navetta e ben presto si trovarono immersi in quel mare impossibile. Quando la navetta fu immersa nella nube, spensero i motori, indossarono le tute e i due abbandonarono anche la navetta. Galleggiavano solitari in un oceano di clessidre.
Notarono che ogni clessidra era orientata a casaccio, galleggiando liberamente nello spazio vuoto e luminoso alla distanza di circa due metri l'una dall'altra. Alcune clessidre erano ferme: contenevano la sabbia interamente in uno dei due bulbi di vetro senza che questa tentasse di scorrere nel bulbo opposto. Altre, invece, pur in totale assenza di forza di gravità, erano in funzione, ovvero la sabbia, attirata da non si sa quale forza, scorreva lentamente per il stretto pertugio che univa i due bulbi. Non era possibile in quel luogo identificare un sopra ed un sotto, per cui potevano esservi clessidre in cui la sabbia scorreva in un senso, mentre in altre scorreva nel senso opposto.
- Guarda Eino! - disse Sinlec - Ogni clessidra sembra avere inciso un marchio, una sorta di effige, forse i caratteri di una qualche scrittura.
- Già! - rispose il capitano - Ma ogni clessidra ha dei caratteri totalmente diversi l'una dall'altra. Ed ogni simbolo o carattere ai  miei occhi appare totalmente sconosciuto.
I due continuarono ad esplorare quel ''mare'' come incantati. Dopo un po' il capitano sentì di nuovo la voce di Sinlec uscire dal trasmettitore e riempirgli il casco: - Eino, corri vieni! Credo di aver trovato qualcosa d'interessante! - poi, quando finalmente il capitano lo raggiunse - Guarda questa clessidra. Non ho mai studiato la lingua, ma riconosco chiaramente lo stile: questi sono  caratteri in uso nel pianeta Fleed, ne sono certo.
- Sì, sì credo proprio che tu abbia ragione, Sinlec...nenach'io conosco la lingua fleed, ma i suoi caratteri sono davvero inconfondibili. Cosa può voler dire? Se solo riuscissimo a capire cosa c'è scritto.

I due si divisero continuando ad esplorare il luogo verso direzioni opposte. Il capitano Lemm galleggiava oramai solitario da diversi minuti quando d'un tratto sentì di nuovo la voce di Sinlec urlargli dentro il casco. La voce era disperata e le parole impastate dal pianto. - Ho capito, Eino!...Mio Dio, ho capito cosa sono queste clessidre!
- Sinlec, amico mio calmati! Sto arrivando!
- Non è giusto, Eino...non voglio...diosanto ho solo 35 anni...sono partito in missione senza aver assistito alla nascita di mio figlio...
- Calmati, Sinlec! Il rivelatore mi dice che non sono lontano da te, arriverò presto!
- Non è giusto, Eino...non voglio...non vogl... - poi la voce del tenente Q'Nnini tacque per sempre.
Al capitano occorsero ancora due minuti prima di raggiungere il corpo senza vita del tenente. Il cadavere galleggiava nel vuoto, vegliato da una moltitudine silente e inanimata di clessidre. Il capitano si avvicinò al corpo. Vide il volto del tenente ancora solcato dalle lacrime. Gli tolse il casco per asciugargliele e chiudergli gli occhi. Poi notò che il suo amico teneva stretto in ciascuna delle sue mani due clessidre. Prese quello che stringeva nella mano sinistra, e vide quel che l'intuito ed il cuore già gli avevano suggerito. Riconobbe sulla clessidra i caratteri latini a lui famigliari sin dall'età di cinque anni: ''Sinlec Q'Nnini'' era inciso sulla clessidra, che oramai conteneva tutto in una sola parte del bulbo la sua sabbia. Liberò, poi, l'altra clessidra dalla mano destra di Sinlec. Anche questa seconda clessidra aveva sopra incise dei caratteri latini. ''Einojuhani Lemm'', lesse...e vide, pur offuscato dalle lacrime, che gli ultimi granelli di sabbia stavano scivolando lentamente, come gli atri già caduti, dall'altra parte della clessidra. E rimase lì, con la SUA clessidra in mano ad aspettare che il Suo Tempo finisse.